Quando siamo giovani abbiamo voglia di provare e sperimentare: per sentirci parte del gruppo si farebbe di tutto. Per essere accettati si può iniziare a fumare o a bere o a assumere varie sostanze. Molti mi hanno raccontato che hanno iniziato così: “Volevo farmi bello davanti alla mia ragazza!”, oppure “Volevo farmi notare da quel ragazzo!”, oppure “Volevo farmi vedere che facevo le cose da grande!”. Questo è il modo in cui si potrebbe cominciare e parlo di qualsiasi sostanza d’abuso. Poi c’è una gran parte che lascia lì quell’esperienza e smette, o chi continua a farne uso per anni.
In questa sede non parlo di legalità, né di differenze tra droghe dannose o non dannose, ma del disagio legato all’uso e all’abuso che può diventare patologico: tutte le sostanze che vengono assunte in eccesso hanno in comune l’attivazione diretta dei centri cerebrali del piacere, che sono coinvolti nel rafforzamento dei comportamenti di assunzione delle sostanze stesse e nella produzione dei ricordi positivi rispetto all’assunzione. Questa attivazione è così intensa che le normali attività possono venire trascurate a favore di tutte quelle azioni protese alla ricerca e al consumo delle sostanze, che costano moltissimo sia in termini di energia che economici. Ma non solo di sostanze, anche del gioco d’azzardo ad esempio, o una ricerca compulsiva di cibo, o anche una pratica sessuale compulsiva. Ci si ritrova imprigionati in una sorta di gabbia d’oro, si prova un gran piacere nel consumare quella data sostanza, o a fare sesso, ma allo stesso tempo ci si sente incatenati, imprigionati, schiavi in azioni ripetitive che prendono molto tempo e tolgono molto tempo alle relazioni sociali e famigliari.
Andare da un terapeuta può essere davvero sano e salvifico per avere un aiuto quando si sente di perdere il controllo, quando si sente di non prendere la sostanza per un uso piacevole, ma è la sostanza che ci prende e ci controlla. Non si usa più in psicodiagnostica il termine “dipendenza”, adesso si usa il termine “addiction”, quando ho letto questo nuovo termine ho pensato “Ecco, il solito inglesismo!” e invece, ho fatto qualche ricerca e ho visto che “addiction” deriva da “addictus”, è latino e nel diritto romano arcaico significa “schiavo per debiti”, cioè non coloro che sono nati schiavi, ma lo sono diventati per non aver saldato un debito. Il creditore poteva decidere anche di uccidere questo schiavo o di venderlo, ma a differenza dello schiavo di nascita, l’addictus poteva mettere a disposizione del creditore i propri servigi fino a riscattarsi e tornare libero. Ebbene non c’è nulla di più rappresentativo di questo termine per dare forza e speranza di riscatto per chi volesse tentare la strada del venirne fuori chiedendo un aiuto esperto, empatico, non giudicante.